Camera 2021

Informazione, politica e social: tra diritti e responsabilità etica – Camera dei Deputati, 25 febbraio 2021

Oggi ho partecipato ad un evento “Phygital” organizzato dall’Unione Stampa Periodica Italiana.

Di seguito il testo del mio intervento:

“La vicenda della sospensione a tempo indeterminato dell’account dell’ex presidente USA Donal Trump dalle principali piattaforme social (Twitter, Facebook, Instagram ecc.) ha rinnovato il dibattito sul ruolo dei social network nella società dell’informazione.

Semplici piattaforme private, come tale soggette unicamente alle condizioni generali di contratto? O novello spazio pubblico di discussione, con relativi oneri ed onori?

Che i social network siano diventati un elemento imprescindibile nella comunicazione, anche istituzionale, è un dato di fatto piuttosto scontato. Non c’è evento politico, anche il più ordinario, che non abbia la sua diretta facebook o il suo live tweeting.

È giusto allora interrogarsi sul ruolo di queste piattaforme.

Nel 2014, la Corte di Cassazione (Cassazione penale sez. I , – 11/07/2014, n. 37596), in una sentenza passata fin troppo inosservata tra gli addetti ai lavori, definì Facebook “una sorta di agorà virtuale… una “piazza immateriale” che consente un numero indeterminato di “accessi” e di visioni, resa possibile da un evoluzione scientifica, che certo il legislatore non era arrivato ad immaginareMa che la lettera della legge non impedisce di escludere dalla nozione di luogo e che, a fronte della rivoluzione portata alle forme di aggregazione e alle tradizionali nozioni di comunità sociale, la sua ratio impone anzi di considerare.”.

Il social network come novella agorà? Se così è, quali regole applicare per governare la conversazione di coloro che in questa agorà si ritrovano? Possiamo lasciare che, ad esempio, l’eventuale concessionario di quello spazio pubblico decida a sua discrezione, in modo totalmente arbitrario, chi può parlare, come può farlo, con quali modalità e per quanto tempo?

Ridurre la vicenda di Trump a questione attinente a un mero rapporto contrattuale rischia di non cogliere uno degli aspetti più significativi dell’attuale società dell’informazione: se non sei sui social network, non esisti. Può dare fastidio, ma è così.

E’ a tal punto così che, durante la presidenza Trump (anche questo è un episodio non citato nella bagarre delle ultime settimane), un giudice federale, Naomi Reice Buchwald, stabilì che l’accesso pubblico all’account personale di Twitter del Presidente è protetto dal primo emendamento dellaCostituzione degli Stati Uniti e proprio per questo i tweet di risposta a quelli del Presidente facevano parte del “forum pubblico” di discussione: bloccarli in base al loro orientamento politico sarebbe stata una discriminazione.

In questo scenario è da guardare con grande favore l’approccio adottato dalla Commissione Europea nella recente proposta di regolamento relativo ai servizi digitali, il c.d Digital Services Act, laddove sono indicate disposizioni per combattere gli abusi delle piattaforme rispetto alle sospensioni o cancellazioni degli account degli utenti.

Si assiste, dunque, all’“istituzionalizzazione” di una materia finora lasciata unicamente alla regolamentazione privata.

In particolare, l’art. 20 prevede impone alle piatteforme l’obbligo di far precedere la sospensione dell’account, per un periodo di tempi ragionevole, nel caso di contenuti manifestamente illegali e previo avviso all’interessato.

Sono inoltre individuati dei parametri per la valutazione dell’abuso e in particolare:

  • il numero assoluto di elementi di contenuto manifestamente illegale;
  •  la relativa proporzione rispetto al numero totale di elementi di informazioni fornite;
  • la gravità degli abusi e le sue conseguenze;
  • l’intenzione del destinatario.

Sempre l’art. 20 impone alle piattaforme un ulteriore obbligo di chiarezza nelle condizioni contrattuali e nella trasparenza delle modalità adottate nella valutazione del comportamento degli utenti.

È proprio con riferimento a queste ultime che le associazioni dei consumatori possono e debbono giocare un ruolo da protagoniste: non limitarsi a denunciare gli abusi, ma operare proattivamente per prevenirli, dialogando con le piattaforme in modo da incidere a monte sulla scrittura delle condizioni generali di contratto e ritagliandosi un ruolo di garanzia nei meccanismi di reclamo interni alle piattaforme.

Questi meccanismi di reclamo privati, anticamere all’impugnativa giudiziale, possono rappresentare l’occasione per un bilanciamento dell’ecosistema e per un’emersione rapida ed efficace dei diritti degli utenti: perché ciò avvenga le piattaforme non possono pretendere di essere giocatori ed arbitri della partita allo stesso tempo, ma devono consentire che i loro meccanismi interni di revisione delle decisioni siano “contaminati” da soggetti esterni che, per ruolo e tradizione, possano avere un ruolo di garanzia. Un consumerismo moderno deve sapere accettare la sfida del confronto (dopo aver dimostrato negli anni di sapere vincere quella dello scontro). “

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