La nuova class action (parte seconda)

L’ammissibilità dell’azione

La nuova class action mantiene, come già accadeva nel previgente sistema, un vaglio preliminare di ammissibilità dell’azione.

Entro 30 giorni dalla prima udienza, il giudice deve decidere su tale aspetto, potendo tuttavia sospendere il giudizio quando sulla questione penda un’istruttoria dinanzi ad un’autorità amministrativa indipendente o un giudizio dinanzi al giudice amministrativo. Si pensi all’ipotesi, non infrequente nella casistica registrata negli ultimi anni, di azioni di classe avviate sulla base di pratiche commerciali scorrette oggetto di accertamento da parte dell’AGCM.

La domanda deve essere dichiarata inammissibile in quattro casi: a) quando è manifestamente infondata: b) quando non c’è omogeneità dei diritti individuali fatti valere; c) quando il ricorrente versa in conflitto d’interessi nei confronti del resistente; d) quando il ricorrente non appare in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei fatti valere in giudizio.

Sul punto si assiste, dunque, ad una sostanziale continuità con il regime previgente con la conseguenza che continueranno a trovare applicazioni i principi elaborati in sede giurisprudenziale, ad esempio, sulla “manifesta infondatezza” della domanda o sull’omogeneità dei diritti fatti valere: su questo tornerò con un articolo ad hoc perché rappresenta una delle questioni di maggiori interesse per chi decide di avviare una class action, anche sotto il profilo redazionale dell’atto introduttivo.

L’ordinanza che decide sull’ammissibilità della domanda dovrà essere pubblicata, a cura della cancelleria, nell’area pubblica del portale dei servizi telematici, entro quindici giorni dalla pronuncia.

Sulla predetta ordinanza è possibile proporre reclamo dinanzi alla Corte d’Appello entro 30 giorni dalla sua comunicazione o dalla sua notificazione, se anteriore. Sul reclamo, la Corte decide con ordinanza, entro i successivi 30 giorni.

Uno degli aspetti processualmente più controversi è il fatto che la proposizione del reclamo non sospende gli effetti dell’ordinanza di ammissibilità e non c’è alcuna previsione per cui la Corte, in presenza di gravi ragioni o particolari ipotesi, possa procedere in tal senso.

Si avrà, allora, un’azione di classe che proseguirà il suo iter, anche in termini di raccolta delle adesioni (il Tribunale deve, infatti, fissare un termine perentorio non inferiore a 60 giorni e non superiore a 150 giorni perché gli interessati possano aderire all’azione), e una decisione della Corte d’Appello che potrà intervenire (il termine di 30 giorni per la pronuncia è meramente ordinatorio) quando le adesioni siano già state raccolte, in totale spregio del principio di economia processuale.

La trattazione della causa.

Una volta che la class action sia stata ammessa e la relativa ordinanza non sia stata vanificata dal vaglio della Corte d’Appello, cosa succede?

Come accennavo prima, il giudice fissa, con ordinanza, un termine per la raccolta delle adesioni. Il nostro, infatti, è un sistema c.d. opt-in: partecipa all’azione di classe soltanto chi vi abbia volontariamente aderito entro un termine perentorio (ma vedremo che, su questo, la nuova class action introduce una doppia finestra di adesione) che non può essere inferiore a 60 giorni e superiore a 150 giorni dalla data di pubblicazione dell’ordinanza sul portale dei servizi telematici.

L’ordinanza dovrà, altresì, specificare gli elementi che caratterizzano i diritti individuali omogenei tutelabili con l’azione e che l’aderente deve possedere per essere incluso nella classe.

L’aderente non assumerà la qualità di parte processuale, pur potendo accedere al fascicolo informatico: questo significa che non potrà essere condannato al pagamento delle spese processuali in caso di soccombenza, ma non potrà neppure svolgere difese ed eccezioni in proprio, né impugnare la sentenza sfavorevole.

Il Tribunale omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede all’istruzione della controversia nel modo ritenuto più opportuno, con ampia discrezionalità sulla scorta di quanto previsto dall’art. 702 ter, comma 5, c.p.c. con riferimento al giudizio sommario di cognizione.

Interessante sottolineare che, nel caso di nomina di un CTU, l’anticipo dei relativi costi sia posto a carico del resistente e non del ricorrente, con un approccio teso a non oberare il ricorrente con spese che potrebbero frenarne l’iniziativa processuale.

Altro elemento di rilievo per la fase istruttoria è quello contenuto nel comma 4 del nuovo art. 840-quinquies, c.p.c., che consente al Tribunale di avvalersi di dati statistici e presunzioni semplici ai fini dell’accertamento della responsabilità del convenuto in giudizio.

Va sottolineato che ciò riguarda soltanto la prova della condotta illecita del resistente ma non la quantificazione del danno (c.d. danno conseguenza) che, dunque, dovrà essere dimostrato in concreto.

(segue…)

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